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06/12/2023 di Greta Tangorra

Qui e ora

HIT ME!

Concept e regia CHIARA BORTOLI, FRANCESCA RAINERI/ Jennifer Rosa 

Performer FRANCESCA FOSCARINI

Intimità è la parola chiave dello spettacolo HIT ME!. Tutto ruota attorno alle sensazioni che il corpo di una donna può rilevare a seconda dei ricordi. 

A fine spettacolo una domanda affiora nella mente di tutti: “Qual era la hit del giorno in cui sono nato?”. 

La scena è costruita su uno scarno progetto scenografico; sono solo una videocamera, un videoproiettore e uno schermo ad occupare il palco. Il pubblico viene accolto da due figure femminili, Chiara Bortoli e Francesca Foscarini, presenti sul lato del palcoscenico. 

Francesca Foscarini è una danzatrice e coreografa, con una formazione ricca di incontri significativi con maestri di spicco sia nazionali che internazionali, quali Marco D’Agostin, Sara Wiktorowicz, Alessandro Sciarroni e Yasmeen Godder. Durante il suo percorso di studi ha avuto l’occasione di sperimentare i vari linguaggi della danza e dell’improvvisazione. La performance è stata prodotta da Jennifer Rosa, un collettivo di ricerca nell’ambito dell’arte contemporanea attivo dal 2005. 

L’esibizione si basa su una sequenza di brani in cima alle classifiche nel giorno del compleanno dell’artista, offrendo un sottofondo musicale che segue il suo percorso, dalla nascita all’ultimo compleanno. Sono canzoni che hanno accompagnato la sua vita e che hanno segnato i cambiamenti della sua fisicità, espressa tramite un’immersione sincera del corpo, al di là degli stereotipi. I brani vengono proposti da Chiara Bortoli, che firma la regia in collaborazione con il collettivo Jennifer Rosa, all’insaputa dell’interprete che improvvisa in diretta i movimenti. Dal computer posto sul lato del palco vengono date consegne musicali che investono completamente il corpo, arrivando all’estremizzazione di ogni movimento. La musica viene gestita in tempo reale, con pause, cambi di tono e tagli, talvolta in sintonia e talvolta in contrasto con la performer. Il compito è quello di aprirsi costantemente a un’esperienza di ascolto sempre nuova, lasciandosi permeare dalla musica in modo che ciascun brano susciti immagini corporee specifiche.

Gli oggetti sul palco mettono in evidenza ogni sensazione al massimo grado possibile. Questo obiettivo viene raggiunto grazie alla presenza della videocamera, puntata verso il pubblico e verso la quale la danzatrice si dispone dall’inizio alla fine dello spettacolo, alternando momenti di euforia a momenti di stasi. La danzatrice decide di posizionarsi di fronte alla videocamera, permettendo così al suo viso di essere proiettato in primo piano. Ne scaturisce un interesse sui micromovimenti facciali e sulle microespressioni che appaiono evidenti ad ogni cambiamento musicale. La decisione di posizionare una videocamera dietro la scena, offrendo al pubblico una prospettiva insolita, si rivela un mezzo di espressione differente. Tuttavia, si potrebbe desiderare un’enfatizzazione ulteriore dell’oggetto in scena e la creazione di un gioco visivo più evidente per rendere lo spettacolo ancora più coinvolgente.

La riuscita di questo lavoro si fonda sul rischio di mantenere un’intera improvvisazione per cinquanta minuti. Quest’ultima, sebbene ricca di sfide, come la necessità di creare istantaneamente, si distingue per l’assenza di una guida rigida. La danzatrice gode di una completa libertà di movimento, svincolandosi dai canoni coreografici. Questa pratica le permette di superare blocchi fisici e mentali, esplorando movimenti evocativi che riflettono le diverse fasi della vita. I movimenti spontanei e disarticolati dominano la scena, a volte ricadendo nella ripetizione, mentre la sua interazione con la musica è assecondante, seguendone sempre il ritmo. Si percepisce la naturalezza dell’espressione creativa, disinteressata all’immagine proiettata o alle opinioni del pubblico. Sostiene un vero e proprio gioco dinamico seguendo la propria intuizione e sapendo sfruttare tutto lo spazio, nascondendosi dietro lo schermo, utilizzando il telo nero del fondo come uscita e camminando sul bordo del palco. 

La scelta di evitare una struttura coreografica è audace, offrendo alla danzatrice la possibilità di esprimersi liberamente e di raccontare la propria vita. Per la performer è un percorso intimo e complesso, che lascia negli spettatori il dubbio su come abbia vissuto l’esperienza e su come avrebbe potuto variare il movimento in un’altra serata. Dunque, lo spettacolo genera grandi aspettative, spingendo gli spettatori a riflettere sul proprio legame con la musica presentata e a chiedersi se avrebbero adottato quel tipo di movimento. 

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